18 luglio. Si dice che i posti del Tour non riescono più a scrivere storie. Già. La Grand Boucle. A furia di credersi al di sopra di tutto e tutti si è eretta a palcoscenico in cui tutto sembra virtuale, la fatica, probabilmente anche le emozioni e in cui non ci sono eroi, storie che finiscono male, corridori imperfetti, dolori che rimangono al di fuori di ogni rito. E’ strano come il Tour, la sua macchina stritola anime, sia legato alla caduta di due angeli italiani, uno di nome Fabio, l’altro Marco. Correvano assieme, Erano amici, Uno andò via prima, e l’altro senza riti, ma solo con la verità nascosta, non abbandonò mai la sua famiglia per gli anni che restarono. Oggi facciamo che sono in cielo, a correre un ciclismo diverso, fatto di strade, tifosi, fatica, vittorie e sconfitte, e attorno, dopo, nessuna Disneyland mediatica capace di fare monumenti ma poi triturare ogni memoria che ritiene sbagliata.
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