Non hanno assassinato Pantani? Hanno ragione: Marco è vivo!
Hanno deciso che quello di Marco non è stato un assassinio. Le incongruenze delle indagini? Capita, dicono, che ci volete fare… Comunque, al di là della pubblica giustizia, il problema al limite non sarebbe solo come è morto Marco ma quante volte lo hanno ucciso. Con il tradimento, il silenzio, e poi il clamore conveniente. Ma la consolazione, è che, sempre al di là della pubblica giustizia,, dove più conta, Marco è vivo...

Pantani assassinato? La giustizia dice ancora no. Un no fragoroso, come era fragoroso il silenzio di prima, ed è stata fragoroso l’accanimento di ancora prima.
Ma in fondo non importa. Marco è un corridore, e un uomo che, testardamente, ancora è vivo in ogni angolo del ciclismo. Sull’asfalto delle salite, nei ricordi e nel cuore dei tifosi che, nel presente apparentemente pulito, trovano sempre meno miti da seguire.
Marco Pantani
è leggenda, e non conta il tempo, non conta la morte nella stanza
da mare d’inverno e neanche che qualcuno, finalmente, spieghi le incongruenze di quella giornata
Le leggende hanno un sapore forte. Autentico. Una verità assoluta. La loro. Quello che la fiction che oggi chiamiamo sport, non riesce quasi mai a dare.
Marco Pantani è rimasto. Rimane. Rimarrà.
E non perché vinceva. L’immagine di Pantani non è mai stato il trionfo. Anche in quel giorno a Cesenatico, lui con il pizzetto giallo davanti a decine di migliaia di persone, non ha dato il sapore di un entusiasmo pieno, sguaiato, da grande fratello. Festeggiava fra stupore e incertezza, con l’espressione timida di uno che sa che le cose possono cambiare in fretta. Prendere una strada diversa. Una gioia, diversa.
D’altra parte lui era uno che tante volte era caduto ma si tirava in piedi sempre, tranne quell’ultima volta in cui fu tradito e fra l’incredulità, l’indifferenza e il clamore disse: stavolta non mi rialzerò più.
Fu così.
Dopo, di Marco, venne giusto qualche immagine sgranata, abbagliante e crudele. Come le tappe in cui lui combatteva contro l’americano. Il Tour quei due in lotta li presentava così, allora: lui, il sospetto colpevole, l’altro, l’eroe.
L'eroe era Marco, solo, contro un'ingiustizia che non poteva accettare. Pantani era l'Italia vera. Provincia, trattoria, fisarmonica, romagna, era qualcosa e non tutto, per questo era fragile. In quegli anni l’americano stravinse, umiliò “l’elefantino”. Il tour, Armstrong, la stampa, stettero con la potenza illimitata del Cow Boy, come si sceglie di stare con la certezza, e mai con il dubbio. Allora scelsero così.
Comunque, adesso Marco è sull’asfalto, negli striscioni, nel cuore della gente che siamo noi. Quelli che davanti a Marco che scattava abbiamo sentito vivi ancora i racconti dei nonni che non avevamo più. Che davanti all’italiano che fermava la locomotiva tedesca, abbiamo imparato ancora cosa vuol dire essere fuoriclasse senza sembrarlo, essere coraggiosi e poter dire sottovoce che noi Italiani siamo grandi, nonostante tutto.
Guccini dice che gli eroi restano sempre giovani e belli. Boh, chissà che roba sono gli eroi... A restare sempre giovani e belli sono gli uomini, quando sono veri.. Giovani e belli, come una delle immagini che abbiamo nel cuore di Marco Pantani, quando riscrisse la storia dei Tour moderni: “Lui con le braccia aperte e l’espressione di chi ha speso tutto, anche parte di quella carne che lo ha tenuto attaccato alla bicicletta. E in quella fatica, lo sguardo di Marco per la prima volta è andato lontano, verso l’azzurro del cielo…”.
Già, a che cavolo servono per fare memoria le indagini, le prove, la giustizia?
In fondo hanno ammazzato Marco ma non dove più conta, nel cuore della gente, Marco è vivo E il resto, cosa conta?