Malesia, Valencia, Marquez, basta!!!!

Che tristezza la Malesia, con la moto gp trasformata in una diatriba da “uomini e donne”, moviole da Biscardi. Come scappare? Beh, la ricetta è semplice, ritrovarsi dove non ci furono difese strumentali del terzo posto, ma Valentino scrisse quello che alcuni dicono il duello del nuovo millennio

Ci sono suggestioni che racchiudono un mondo.  Laguna Seca 2008, moto Gp, è stato proprio questo. Un giacimento, da cui trarre quello che è correre su una moto. Quello che è essere piloti. Quello che è essere campioni. E davanti a tutto questo eterno, la tristezza di questi giorni conta così poco…
Essere campioni. Il motore non ha sensazione, non ha cognizione, non ha pensiero. La macchina non ha anima, ne’ passione. Insomma, non ha cuore. E’ il pilota che è sintesi della macchina. Perché la moto, anche se perfetta, oltre all’ubbidienza non sa andare. E’ il pilota che stabilisce la differenza fra una macchina che vince ed una che perde.
Un fuoriclasse è un capitale umano, dove l’integrità fisica è il mezzo di produzione.  E la “nature”, nella accezione inglese, la strategia. Cioè, la differenza fra chi vince. E chi perde..
Valentino è sempre stato due mondi. Bambino al di fuori della pista. Uomo fatto per vincere dentro di essa. Il resto, non conta.
Laguna 2008. L’unica curva di Laguna con una identità definita, è il “Cavatappi”. Il tracciato del “Cavatappi” assomiglia ad uno scarabocchio. Ma è come se, dopo averlo disegnato, lo avessimo accartocciato, e ce lo fossimo ritrovato sgualcito, con il segno che va di qua e di là, ondeggiante. E poi su e giù. Ecco, così è il “Cavatappi. Un andare folle, incerto, accattivante, quello zig zag d’asfalto è il simbolo che Valentino, alla fine del duello del 2008, ha baciato come fosse il simbolo della sua vita .
La prima immagine TV di Laguna Seca 2008 è una ripresa dall’alto. Laguna come i disegni di NAZCA, segni lasciati nei deserti, perché gli dei vedessero cosa gli uomini potevano fare per loro. A monte del terzo millennio, gli uomini non sentono più il bisogno degli dei. Mandano le immagini dei loro “campioni” lassù. Poi i satelliti le rimbalzano quaggiù, ad altri strumenti chiamati televisione. Gli uomini di oggi sanno solo specchiarsi. Disegnano un immaginario fatto unicamente di loro stessi. Non è un avanzamento. Non è un cambiamento di civiltà.
E così sarà Laguna 2008. Civiltà resa al minimo. Una storia nuda. Fra due uomini. E le loro moto.
Al via Valentino va secondo, mettendo immediatamente sotto pressione Stoner. Poi, dopo poche curve, Rossi decide di passare. Tranquillamente, semplicemente, tagliando una frenata. C’è tanto “senno”. Un equilibrio, che sorprende Casey.     
L’uomo non è fatto per la velocità. Si adatta ad essa. Al meglio. Come ha fatto con la incapacità di riprodurre il reale, debolezza che l’umanità ha trasformato in arte. L’istinto dell’uomo è lottare, non stare come i pini sulla rive che, arrendendosi al vento, si piegano verso l’entroterra desiderando di essere altrove. L’uomo affronta la velocità. La domina.
Rimane un po’ scosso, Casey, di fronte al primo sorpasso.  Casey ripassa.  Con “troppa” rabbia. Con “troppa” autorità. E, ad ascoltare bene, quel “troppo” nel deserto di Laguna picchia.  Percuote. E’ un battito d’incertezza.
La curva è un gesto. La frenata perfetta, è solo un attimo. Quell’attimo! Non il prima. E non il dopo. Quello.
Al di là di esso c’è l’anticipo. O il ritardo. Velocità smorzata, tempo perso, svantaggio. Il punto di corda deve tagliare la svolta esattamente.  Come un taglio di Fontana dilania la tela. E davanti a “quel quadro saprei farlo anche io” la risposta giusta è: salite su una moto GP e fate il cavatappi come Valentino quel giorno, e poi ne parliamo di quanto sia facile creare da quel nulla che è la tela un Fontana. O un Pollock.
Undici sorpassi ha contato Laguna 2008  Un avvicendarsi, confondersi, e poi ancora passarsi che chiameresti sinergia.
Solo che in una gara, non c’è accordo. I due piloti se le danno di santa ragione, e non c’è nulla nell’intenzione dell’uno che voglia  contribuire a qualcosa dell’altro. La nostra è società complessa. Anche un conflitto, salendo di un livello,  può rivelarsi  parte armonica di un tutto.  E il tutto, a Laguna come più in generale nello sport, è lo spettacolo. Trama: uomini contro. Base ritmica: emozione. Colonna sonora: battito del cuore.
A Laguna, per Stoner, la fine di ogni traiettoria è stata, invariabilmente, la moto di Rossi. Casey, nella rabbia della sconfitta, la chiamerà scorrettezza. Poi si correggerà. L’impressione è che prima di ogni curva, Valentino sapesse esattamente cosa avrebbe fatto l’altro.  Il nome giusto è istinto. Uno dei talenti regalati da Dio ai campioni dello sport.
Istinto. La fine della gara di Laguna è che Stoner non ce la fa più. L’atto di resa è la Ducati che sbaglia traiettoria, rimaterializzandosi nel lento mondo degli uomini.  La fine di Casey, è stata la carrozzeria rossa, con il numero 1, che s’impantana molle e flaccida, dentro la sabbia  dell’area di sfogo. Valentino è ormai lontano. Veloce.
Poi Casey è sparito. Qualcuno dice che la sua fine è stata proprio scritta da Laguna 2008, cannibalizzato da Valentino. Se qualcuno vuole confondere il duello di Laguna con quello triste malese, sbaglia. Là si lottò per vincere, qui per il terzo posto. Là era un duello fra uomini alla pari, qui fra uno che poteva vincere il mondiale, ed un altro che voleva esserne arbitro.

Sì, quello del 2008 era un altro Rossi, rispetto ad oggi. Valentino è più vecchio. Magari oggi agli altri il suo resistere lì in alto dà fastidio. Lo avevano dato per perso tante volte, lui è tornato, ed anche per questo Valentino è leggenda. E anche per questo da pilota meriterebbe il rispetto, e non il dispetto. Specie da chi, alla fine, rischia di non essere il pezzo di storia della moto che Rossi è stato.