18 luglio: un angelo caduto in volo
18 luglio. Si dice che i posti del Tour non riescono più a scrivere storie. Già. La Grand Boucle. A furia di credersi al di sopra di tutto e tutti si è eretta a palcoscenico in cui tutto sembra virtuale, la fatica, probabilmente anche le emozioni e in cui non ci sono eroi, storie che finiscono male, corridori imperfetti, dolori che rimangono al di fuori di ogni rito. E’ strano come il Tour, la sua macchina stritola anime, sia legato alla caduta di due angeli italiani, uno di nome Fabio, l’altro Marco. Correvano assieme, Erano amici, Uno andò via prima, e l’altro senza riti, ma solo con la verità nascosta, non abbandonò mai la sua famiglia per gli anni che restarono. Oggi facciamo che sono in cielo, a correre un ciclismo diverso, fatto di strade, tifosi, fatica, vittorie e sconfitte, e attorno, dopo, nessuna Disneyland mediatica capace di fare monumenti ma poi triturare ogni memoria che ritiene sbagliata.

L’immagine più bella è lui, sorridente, che guarda la bandiera con la medaglia d’oro olimpica di Barcellona al collo. Fabio Casartelli, un bel viso da ragazzo pulito che ricorda l’Andrea di De Andrè, riccioli neri falciati dalla mitraglia sui monti di Trento.
Fabio Casartelli da Albese Con Cassano, punto della cintura in cui i laghi prealpini diventano Brianza, un fisico smilzo e un sorriso paradigma della Lombardia ciclistica che nel week-end decide di non inseguire i sogni dietro ad un pallone ma di fare molta più fatica spingendo i pedali di una bicicletta. Casartelli, un giovane campione che stravinse le olimpiadi a Barcellona e subito dopo passò al sogno del professionismo. Due anni all’Ariostea, anonimi di fronte alle promesse ma in questo sembrò del tutto uguale a molti della sua generazione, speranze enormi che da professionisti non seppero concludere nulla con tante spiegazioni possibili, alcune tecniche ma altre più “di sostanza”. Comunque, dopo soli due anni di carriera Fabio avrebbe ancora potuto tutto, anche stupire. La nuova squadra sembrava quella giusta, gli americani, la Motorola, Armstrong.
E’ che poi l’Aspin e la sua discesa non furono soltanto un posto, non furono soltanto sport, ma un angolo della vita. L’Aspin, oggi poco più di un’etichetta, quasi sempre un passaggio delle tappe fondamentali, mai protagonista, come certi campioni che con il passare degli anni diventano una presenza nel gruppo, nulla più.
L’ultima immagine di Fabio Casartelli è proprio sul Portet d’Aspin, pendenze di una strada stretta, di quelle antiche, militari, asfalto moderno contrapposto ai paracarri in pietra, sottili. E lui, che dorme accanto ad uno di quei paracarri di sasso. Giù, accucciato su un fianco, come fosse un bambino e accanto a lui una macchia rossa che si allarga. Ah, se quella mattina Fabio avesse indossato il casco. Ma magari no. Destino. Sport.
Dorme, Fabio, il ciclista, in quella ripresa. Fu l’ultima volta che la cronaca si fermò sull’Aspin, il 19 luglio 1995. Fu l’ultima volta che lo sport si fermò sull’Aspin. Fu l’ultima volta che la vità passò dall’Aspin. Un paio di giorni fa qualcuno del Tour di un altro millennio ha messo fiori sotto una stele. Le cerimonie non mancano mai. Come il giorno della tragedia, in cui sul palco si festeggiò il vincitore, la maglia gialla e quella a pois nella solita coreografia pacchiana e sorridente. Come niente fosse. I riti sono una parte della memoria che non dà fastidio. Rappresentazioni che cancellano cose vere. Già, sarà così e non c’è da stupirsi. E’ l’oggi dello sport. Bellezza.
Poi ci fu la vittoria di un’americano con la stessa maglia che puntò il cielo. Un gesto vero, crediamoci, di un uomo che poi fece del ciclismo Hollywood. La stessa Hollywood che lo seguiva ogni volta che andava a trovare, ad aiutare, la famiglia. Ma in quegli anni, di una ragazza e di un bambino rimasto solo presto, ci fu un altro ciclista, ad essere vicino. Lui lo fece in silenzio, non aveva nessuna Hollywood o Cinecittà, nel cuore. Fu proprio questo il problema che lo fece diventare un altro angelo caduto, anni dopo. Ma come dice Guccini, gli eroi rimangono sempre giovani e belli... Ma, cosa ancora più importante rimangono, non appassiscono come i fiori messi sotto una stele, ma fioriscono nei cuori dei tifosi, per quanto sono vere le loro storie di uomini, prima delle loro vittorie...