Marco, il primo degli ultimi
Il primo degli ultimi uomini che sono caduti per un concetto di dignità, di giustizia. Gli ultimi che magari anche hanno sbagliato in un mondo sbagliato ma anche hanno lottato per cambiarlo. Marco, il primo degli ultimi che hanno scelto piuttosto che le chiacchiere un silenzio assoluto, tanto forte da risuonare ancora.

Adesso, che hanno parlato tutti: le tv, quelli che l’hanno conosciuto e hanno provato a stargli vicino e magari altri che si erano voltati.
Adesso che hanno parlato tutte le firme che hanno
fatto, e disfato, il ciclismo com’era, e com’è. Tutti quelli che anche adesso magari si commuovono sinceramente ma che allora sono saliti sugli Orient Express abbandonando quelli che sembravano diventati seconda
classe, perché così vuole la professione o il restare a galla, per continuare a
stare sulla giostra che conta.
Adesso, forse possono parlare gli ultimi, quelli che non sanno, quelli che su quelle strade non c'erano
se non per un passaggio dopo ore di attesa o dietro ad un teleschermo, ma che pure hanno amato Marco e la sua idea,, sempre, e hanno continuato a
farlo.
A volte, ci si divide sulla parola doping ma dimentichiamo che Marco non è morto di
doping.
Marco, non ha smesso di correre per il doping. Il doping allora vinceva il Tour de
France e stava sotto i riflettori di Hollywood.
Marco è morto per l'assenza di giustizia e
una domanda di dignità.
La giustizia, quella che ha cercato ma non ha trovato. La dignità, quella che sentiva, ma che gli altri giorno dopo giorno gli avevano fatto pubblicamente perdere.
E davvero, se si parla della sua morte, nel giorno della sua morte, bisogna fermarsi a quei due concetti: dignità e giustizia.
Perchè Marco è morto per quello.
Il resto, anche le corse, la sua grandezza, stanno in ogni giorno, nella memoria di sempre, e non serve che ogni anno venga febbraio. Sta nelle
immagini della tv, e non solo nella nebbia del 1998, ma anche negli ultimi anni, quelli contro l’americano, lui a sinistra che soffre e non molla e l’altro con il motore truccato, che sa di avere
accanto uno pericoloso, perché è un uomo diverso da quelli che lo esaltano, un uomo di verità e coerenza.
E la grandezza di Marco sta anche nelle ultime tappe del Giro che ha corso, quando ci provava e ogni volta andavano a prenderlo, colpevole solo di chiamarsi Marco Pantani e trovarsi addosso l’amore dei tifosi.
Marco Pantani, il primo degli ultimi ad avere dentro la dignità in uno
sport, un paese, che adesso deve rinascere, e forse sta rinascendo.
E se rinascerà, lo farà partendo da quei due concetti: dignità e giustizia.
E magari da una ventata di uomini nuovi,
capaci di soffrire, che faranno rinascere un Paese e uno sport che è stato il simbolo
popolare del primo boom economico.
Se così sarà, Marco Pantani non avrà bisogni
di anniversari, perché sarà lì, nelle pieghe più profonde e vere di un paese
finalmente, di nuovo, vincente.
Un paese che si chiama Italia e che, nonostante tutti noi, è ancora un bellissimo nome.