E adesso a Marco cosa ridiamo?

Ok, è stata la camorra. I termini della questione non cambiano. Ad un grande mito è stato tolto tutto e questo perché in un attimo attorno a lui è stato creato un silenzio assoluto. E ora, vent’anni dopo, cosa possiamo fare? Beh, almeno una cosa: essere sinceri nel raccontare il ciclismo, lo dobbiamo a Marco, ai tifosi, e al ciclismo stesso.

Si sa, il tempo cancella tutto e dopo anni può darsi che anche per chi l’aveva affossato potrà trovare conveniente sentirsi pentiti su come si è comportato con Marco Pantani. Qualche corridore lo ha già fatto, probabilmente sinceramente, perché è difficile alla lunga non essere solidali con chi ha vissuto le stesse fatiche. Qualche opinionista, con pezzi revisionisti, anche ma si sa chi scrive ha la facoltà di affermare una cosa, e poi il contrario senza mai giustificarsi,  è questo che si chiama potere.

Meno ammissioni sono venute dall’ambiente, da quelli che hanno fatto il ciclismo ma non lo correvano. Un po’ perché sono ancora il potere, un po’ perché alla fine hanno avuto ciò che volevano allora  e ora se lo godono in silenzio.

Però, però, se tutti noi semplici ormai sappiamo che Marco non era il “dopato” per eccellenza ma il genio irripetibile dentro una generazione senza buoni o cattivi, dalle parti del potere internazionale si continua a far finta di niente, a dichiarare che “non piace misurarsi con certo ciclismo”.

Beh, forse una battaglia di verità, per restituire qualcosa a Marco anche lassù, al di là dei pentimenti individuali, il ciclismo dovrebbe farla. Almeno per dimostrare che nella storia non è mai esistito un certo ciclismo e un ciclismo vero, ed è proprio per questa unicità vitale che è ancora uno sport amato. 

Qualcuno di quella generazione racconti quel certo ciclismo quanto fosse vero, e quanto corrotto, e quanto fosse ipocrita, e quanto eroico. Insomma, ci dica, ammetta la verità sulla storia. Quella che Marco, e la sua famiglia, e i suoi tifosi, chiedono da vent’anni…