La Vuelta è ad Andorra, aspettando Aru ricordiamo le domande di Bugno al ciclismo “scientifico”.

Oggi la Vuelta sale sui Pirenei partendo da Andorra
E’ la prima tappa “eroica” e speriamo che le montagne da Tour donino una battaglia tra gente giovane. Da italiani, rimpiangendo NIbali, ci rimane Aru, e non è poco. Speriamo che i Pirenei, come le Alpi, incoronino il coraggio antico e umano di Fabio di fronte all’attendismo di Quintana e alle frullate “tecnologiche” di Froome. Mam a proposito di Andorra, e di un ciclismo “scientifico", il 20 luglio 1993 un Gianni Bugno amaro pose delle questioni “fondamentali” ad una scienza che aveva smantellato la sua classe per farlo diventare cronoman. Questioni che ancora oggi valgono, e non hanno risposta.

E’ bello vedere Aru quando vince e sorride. Come è bello vedere Nibali. E’ stato anche toccante vederli soffrire in bicicletta. Perché gioia e dolore, vittoria e sconfitta, fantasia e follia fanno l'uomo e l’atleta. E’ meno bello, opinione personale, vedere corridori che ogni volta corrono la stessa corsa. Magari inesorabili, vincenti, ma monotoni, come automi. La lotta è fra lo sport degli uomini e quello virtuale dei robot, in qualche modo costruiti. Il problema è che alla fine o rimarranno i primi,  o i secondi.

Un dilemma che da più di vent’anni dilania anche il ciclismo. Proprio ad Andorra, dove oggi è la Vuelta, nel 1993 da Gianni Bugno vennero domande irrisolte che valgono anche ora. E’ simbolico ritrovarle.

Il 20 luglio del 1993 il Tour segnava una giornata di riposo. Era un Giro di Francia, tanto per cambiare, dominato da Miguel Indurain. Avete presente i Tour ’91-92? Erano una questione iberico italiana, legati al trio Indurain, Bugno e Chiappucci.

A Parigi primo era sempre stato lo spagnolo, gli altri si erano alternati. Il copione era: Miguelon prendeva enormi vantaggi a cronometro che gli altri in salita non riuscivano a colmare, anche perché sulle montagne il Banesto non era fermo, anzi. Quelli, erano anni in cui lo sport di fondo in generale, non solo il ciclismo, aveva un solo vate: il professor Conconi da Ferrara.

Ma quelli erano anche gli anni che avrebbero dovuto e potuto essere di un fuoriclasse naturale enorme, Gianni Bugno. Un corridore dalla classe irripetibile, uno di quei poeti del pedale che quando erano in grazia davano l’impressione di pedalare in un altro mondo, quello della leggenda. Gianni  aveva preso due podi al Tour, con due Alpe d’Huez, e così aveva vinto due mondiali, dipingendo un corridore campione a tappe e nelle corse di un giorno che sembrava estinto. Nell’inverno 1992 però, si era lavorato in un qualche modo per farlo andare a cronometro, dandogli una continuità di potenza che non era nel suo corredo naturale. Bene, nel Tour 93, a cronometro contro Indurain, Bugno si era salvato come non mai, ma alla prima salita si era sciolto, tanto da non sembrare più il corridore di prima. Lui era un poeta, e dopo il crollo ai primi pirenei (era ormai a 25 minuti da Indurain), cominciò a esprimere i dubbi semplici e tranquilli di un uomo-campione che si sentiva perso, in una bellissima intervista di Gianfranco Josti al Corriere della Sera. Queste sono le questioni che pose, ancora oggi senza risposta:

Bugno e l’essere ciclista:.

“A Serre Chevalier avevo confessato che potrei chiudere con il ciclismo se non trovo risposte ai tanti interrogativi che mi pongo. Lo posso confermare adesso: correre mi piace, questo ambiente rappresenta la mia vita, mi diverte, mi appaga. Ma adesso non lo sopporto piu . E' come quando si fa indigestione di gelato: viene la nausea solo a vederlo. Il sapere di non essere in grado di pedalare in salita accanto agli avversari di sempre mi opprime. Mi sento disperato, perche' non conosco le cause"

Ne aveva parlato con Conconi, di questo improvviso andare piano…

“Ci vedremo a fine Tour, parleremo, discuteremo, analizzeremo il lavoro svolto in questi tempi. Cosi d' acchito nemmeno lui sa darmi una risposta precisa che, per continuare a correre, mi e' assolutamente indispensabile".

Era Bugno che andava piano o il mondo attorno a lui che si era messo ad andare troppo forte?

“In salita andavo, ho vinto due volte all' Alpe d' Huez, con certi corridori ho sempre pedalato fianco a fianco. Adesso non reggo il loro ritmo. Perche' ? E' normale che quest' anno non sia mai riuscito a superare bene una montagna? Certo se scatto dopo il via, magari mi lasciano andare, visto che in classifica ho mezz' ora di ritardo. Ma io non riesco a concepire il ciclismo cosi  Penso invece di restare sempre accanto ai migliori per provare a staccarli nel finale. Questo e' il mio modo di correre, da sempre e sempre lo sarà . Non ne conosco altri. Vado fino a un certo punto, poi mentre gli altri continuano a pedalare a un certo ritmo, in salita, io mi stacco. Perche' non ce la faccio a reggere la loro andatura".

La storia racconta che da quel 1993, l’Italia,  il ciclismo, e noi che il ciclismo lo amiamo,  perdemmo il vero Gianni Bugno. Cosa era successo? In qualche modo la sua classe era stata snaturata? O era lui che non riusciva a seguire il “nuovo” che avanzava?

Mah... Certo, una personalissima impressione, a vedere Aru o Nibali soccombere contro le frullate, vengono disagi e domande, come Bugno allora. Sarà che non mi adeguo al tempo che cambia …

Buona Vuelta sui Pirenei e forza Aru!