Liegi, la corsa degli Italiani?
Dai che dalle Ardenne in poi anche per l’Italia qualcosa si sta muovendo. Il bello è che il ciclismo va sempre avanti e domenica abbiamo l’ultima chance di vedere il tricolore al “giusto posto del mondo” e anche con tradizione storica positiva…
Foto Fabrizio Delmati



Come da tradizione, domenica la primavera delle classiche si chiuderà con la “decana”, la Liegi-Bastogne- Liegi. Una corsa dura, che parallelamente al Lombardia assomiglia ad una tappa da grande giro, con un susseguirsi di salite ben più spesse dei muri. Insomma, la “Doyenne” difficilmente mente.
Per di più, per noi, la tradizione storica è positiva, dicevamo in sommario, perché la Liegi (andata e ritorno passando per le Ardenne) è anche detta la classica degli italiani, dato che nell’ultimo trentennio si è dimostrata percorso in sintonia con i nostri corridori e i loro connotati tecnici. Primo, trent’anni fa, fu Silvano Contini (1982). Poi vivemmo il poker di Moreno Argentin (1985, 1986, 1987 e 1991) uno che se anche ci provava, la “decana” non riusciva proprio a perderla.
Dopo il campione mondiale veneto, si è passati ad una altro campione toscano, però non mondiale, perché il destino iridato è sembrato sempre avercela con lui: Michele Bartoli, due volte a successo sulle vie di Liegi (1997-1998). Un’altro toscano, lui sì mondiale, è venuto a prendere il testimone dalle mani dell’amico Michele, Bettini, (2000-2002), per finire poi con Rebellin (2004) e Di Luca (2007). Comunque, anche al di là delle vittorie, quella degli italiani è anche una presenza costante nel vivo della corsa, perché qui le salite (le cote) assomigliano alle nostre strade. Insomma non sono elementi da specialisti, da nati lì, come i muri o come il pavè.
Le strade che da Liegi vanno alle Ardenne hanno i profili delle prealpi e degli appennini, e con questa assonanza anche per l’edizione 2016 Liegi chiamerà a raccolta quasi tutta l’Italia del pedale che conta in una corsa messa lì da sempre a segnare il cambio di stagione. A dire insomma che la primavera si è portata via le classiche, e dopo sarà tempo da grandi Giri, con il primo, il nostro, ormai alle porte. E se di giri si parla, veniamo al passato, presente e ancora futuro, con Fabio Aru, del nostro pedale: Vincenzo Nibali. Lo “squalo”ha la Liegi da sempre nel suo programma perchè in nessuna altra corsa come questa può vincere Vincenzo (Lombardia a parte), come ha dimostrato nel 2012, quando è arrivato secondo, primo degli umani, raggiunto e superato da un treno che guarda caso, poi, è stato preso con la benzina nel sacco. Negli anni successivi, poi, Vincenzo, ha dimostrato di averla nel sangue, quella corsa e prima o poi…
Così, guardiamo la Decana cercando sempre la maglia azzurra con le striscioline tricolori, ma non solo, ci sono altri, come Gasparotto che sembra non fermarsi, e poi Ulissi che si sta abituando ai primi 10, e sappiamo che è uno che molto potrà in futuro, e magari Pozzovivo o Rosa, ma il panorama dei partecipanti alla corsa degli italiani non si ferma lì, perché dalle Ardenne in poi stiamo mostrando di esserci. Ci sarà da fermare innanzitutto il Valverde di Huy alla ricerca del bis, ma occhio anche a Gerrans, e magari ancora Alanphilippe e Daniel Martin. Vedremo, sperando ancora una volta che oltre ad essere metafora del nostro ciclismo, la Decana riesca anche ad essere ancora una volta dimostrazione che in casa i campioni siamo ancora in grado di fabbricarli.
Per di più, per noi, la tradizione storica è positiva, dicevamo in sommario, perché la Liegi (andata e ritorno passando per le Ardenne) è anche detta la classica degli italiani, dato che nell’ultimo trentennio si è dimostrata percorso in sintonia con i nostri corridori e i loro connotati tecnici. Primo, trent’anni fa, fu Silvano Contini (1982). Poi vivemmo il poker di Moreno Argentin (1985, 1986, 1987 e 1991) uno che se anche ci provava, la “decana” non riusciva proprio a perderla.
Dopo il campione mondiale veneto, si è passati ad una altro campione toscano, però non mondiale, perché il destino iridato è sembrato sempre avercela con lui: Michele Bartoli, due volte a successo sulle vie di Liegi (1997-1998). Un’altro toscano, lui sì mondiale, è venuto a prendere il testimone dalle mani dell’amico Michele, Bettini, (2000-2002), per finire poi con Rebellin (2004) e Di Luca (2007). Comunque, anche al di là delle vittorie, quella degli italiani è anche una presenza costante nel vivo della corsa, perché qui le salite (le cote) assomigliano alle nostre strade. Insomma non sono elementi da specialisti, da nati lì, come i muri o come il pavè.
Le strade che da Liegi vanno alle Ardenne hanno i profili delle prealpi e degli appennini, e con questa assonanza anche per l’edizione 2016 Liegi chiamerà a raccolta quasi tutta l’Italia del pedale che conta in una corsa messa lì da sempre a segnare il cambio di stagione. A dire insomma che la primavera si è portata via le classiche, e dopo sarà tempo da grandi Giri, con il primo, il nostro, ormai alle porte. E se di giri si parla, veniamo al passato, presente e ancora futuro, con Fabio Aru, del nostro pedale: Vincenzo Nibali. Lo “squalo”ha la Liegi da sempre nel suo programma perchè in nessuna altra corsa come questa può vincere Vincenzo (Lombardia a parte), come ha dimostrato nel 2012, quando è arrivato secondo, primo degli umani, raggiunto e superato da un treno che guarda caso, poi, è stato preso con la benzina nel sacco. Negli anni successivi, poi, Vincenzo, ha dimostrato di averla nel sangue, quella corsa e prima o poi…
Così, guardiamo la Decana cercando sempre la maglia azzurra con le striscioline tricolori, ma non solo, ci sono altri, come Gasparotto che sembra non fermarsi, e poi Ulissi che si sta abituando ai primi 10, e sappiamo che è uno che molto potrà in futuro, e magari Pozzovivo o Rosa, ma il panorama dei partecipanti alla corsa degli italiani non si ferma lì, perché dalle Ardenne in poi stiamo mostrando di esserci. Ci sarà da fermare innanzitutto il Valverde di Huy alla ricerca del bis, ma occhio anche a Gerrans, e magari ancora Alanphilippe e Daniel Martin. Vedremo, sperando ancora una volta che oltre ad essere metafora del nostro ciclismo, la Decana riesca anche ad essere ancora una volta dimostrazione che in casa i campioni siamo ancora in grado di fabbricarli.