Nibali, l'eroica
Quando il Tour sembrava annegato dalla noia, è spuntata la giornata memorabile, tinta d’azzurro. Il ricordo va a tanti anni fa, ad un piccolo italiano che ha attaccato nella nebbia, tanti e tanti chilometri prima dell’arrivo, ed è andato a prendersi il Tour. Oggi, al Tour, un altro italiano ha attaccato, tanti e tanti chilometri prima del traguardo. Non si prenderà il Tour, perché quello è degli uomini bionici, ma Nibali s’è preso la leggenda. E diteci se è poco.

Quel giorno, di quindici anni fa, nella nebbia, venne da dire “Marco, non attaccare, è troppo presto, sei impazzito?” Anche oggi, al Tour 2015, a cinquanta chilometri dall’arrivo, è venuto da dire così: “Vincenzo che fai?” anche se stavolta sembrava un po’ il gesto disperato di chi ci prova, del corridore che non ha nulla da perdere.
Poi, però, per chi guarda il ciclismo del cuore, tutto è sembrato
diverso, perché quel corridore con il tricolore strano ha dimostrato da subito
che non era disperato, che non cercava di farsi vedere, o provare, ma anzi lui
era l’unico in corsa, mentre gli altri, compreso il bionico Sky, stavano lì,
aggrappati all’asfalto, in equilibrio sulla crisi, cercando di non
prenderle. Vincenzo se non aveva il
Tour da prendere, aveva comunque il sogno di cercare il podio, e sbatterlo in
faccia innanzitutto alla sua squadra, abile a prendere le vittorie, meno a
comprendere, e a giustificarsi. Vincenzo ora vede il podio, difficile perché
oggi si è speso, ma vedrà anche i sorrisi ipocriti tornare, e le celebrazioni,
e…
Vabbè, Vincenzo, italiano, siciliano, lo dobbiamo dire, grazie, perché stamattina ci siamo alzati pensando a Marco, e all’Alpe D’Huez, pensando alla malinconia di un ciclismo che non c’era più, e adesso pensiamo a te che doni la tua maglia gialla a mamma Tonina, e pensiamo che a essere Italiani, e tifosi dei ciclisti, spesso, non si perde, e tutto torna. Grazie Vincenzo, a nome di chi il ciclismo l’ha imparato dai nonni, e non gliene frega niente dei bionici, ma ama l’imperfezione della fatica. Grazie Vincenzo, perché come quindici anni fa, ci hai fatto dire che l’amore per il ciclismo vero, alla fine, non muore mai.