“In questi anni, ho passato più tempo dai medici che sul campo di tennis. Anche quando guarivo, ogni volta dovevo ricominciare da capo, allenarmi, tornare in forma, e di nuovo il fisico veniva a dirmi che lo sport professionistico non era nelle mie possibilità. Sono davvero stanca psicologicamente di dover trattare con il  mio fisico, e così ho deciso di obbedirgli, di ascoltare i suoi segnali.”

Quello di Ksenia è stato un viaggio travagliato, che ha coinvolto anche le persone attorno a lei, e che ha compreso anche un cambio di federazione.  Storia di tanti sportivi che, nonostante il talento, per sfortuna o destino, non riescono a vedere il traguardo che la classe prometteva.

“Prendere una decisione come il ritiro, per un tennista o per un qualsiasi atleta, è difficile, perché lo sport fa parte dei tuoi primi ricordi ed è ciò che sai fare meglio, se non l’unica cosa che sai fare.”

Una storia pesante quella della rinuncia  e in un certo senso del fallimento, specie se sei atleta di uno sport individuale, sì ricco ma anche solitario e vagabondo.

“Il mondo del tennis non è facile: vivi in un isolamento fatto di campi di allenamento, match, di nuovo allenamento, gli hotel, le palestre, i medici e i tantissimi voli. Qualcuno potrebbe dirmi che mi sto lamentando nonostante una vita di  luoghi da vedere, ma come ho detto, il tutto è limitato agli hotel, ai campi  ed alla solitudine.”

Ecco, se dobbiamo interrogarci sul senso dello sport e di essere atleta, sarebbe bello a volte dimenticare i primi del ranking, gli slam e fermarsi anche alle storie che saranno dimenticate, come quella di Ksenia, perché esse insegnano molto, sia se consideri che la protagonista è una ragazza,  o un'atleta.

Buona fortuna, Ksenia…