Sei Nazioni: l'ultima di Brunel e dell'Italia?

Si riparte con il Sei Nazioni. E con la solita tragica incognita Italia, che scende in campo con tanti esordienti e qualche speranza, compresa quella non prenderle troppo, contro una Parigi che cerca rivincite sul mondo.

L’ultima francia Italia di Brunel, dà il senso di un tecnico in uscita che finalmente può fare il coraggioso, come a dire, io sono arrivato fin qui, ci pensi quello dopo a tirare fuori i risultati.

Saranno quattro gli esordienti a Parigi, tanti, magari anche troppi visto che non è che puntare al futuro al buio sia stato il segno del tecnico francese finora. Un gesto disinteressato, di cambiamento di un ciclo, o disperato?

Tutto potrebbe essere. In un postmondiale assolutamente nero per i club italiani, si respira forte la possibilità del fallimento di un’epoca, di un progetto, e di una politica.

Brunel lascia, mettendo in campo quelle che per lui sono le nuove prospettive e possibilità. Vedremo che segno daranno, certo c’è da avere timore, andranno in campo giocatori finora fuori dal grande giro che in un tempio del rugby dovranno anteporsi alla "nouvelle vague"  francese.

Poi, se saremo in piedi, verrà l’Inghilterra, a Roma, e alla fine se non risulteremo suonati la Scozia, che però lei sì sembra un po’ più vitale rispetto ai soliti match da cucchiaio di legno con noi.

E poi?

E poi sapremo di che pasta saremo fatti. E sapremo se siamo da Sei Nazioni, cioè se avremo un futuro certo, lì.

Perché alla fine il nodo sta diventando quello. Quando iniziammo a partecipare all'elite eravamo una prospettiva per il rugby mondiale. Ora invece ci vivono come un peso immobile, per di più con gli unici giocatori di prospettiva internazionale in prossima uscita e un futuro apparentemente inesistente  per i giovani entranti.

Tutto fosco, tutto nero?

Probabilmente sì. Tanto che si comincia a sperare che davvero ci possa essere un Sei Nazioni che non ci veda presenza fissa, ma ci lasci un attimo di respiro e il tempo per un inevitabile reset politico, tecnico e strategico. Certo, intorno al rugby italiano cadrebbe una piramide di capitali, ma non sempre questo è male.

Intanto, vediamo a Parigi cosa faranno i giovani esordienti. Giocatori che vengono dal basso, senza esperienza, buttati a confrontarsi con l’elite e la storia, senza paracadute. Possibili vittime sacrificali? Scelta inevitabile, visto che la fascia intermedia di giocatori, quella delle franchigie, si è sgonfiata come un palloncino, e non è più possibile considerarla unico bacino di scelta.

Forza Italia, comunque.