Rugby europeo: Houston, abbiamo un problema

A preoccupare non è tanto il dato statistico che per la prima volta le europee mancano dalle semifinali ma quello del campo. L’emisfero sud sembra entrato in un Rugby 2.0, intenso, dinamico mentre il vecchio continente marcia al ritmo del passato

Se nel match Australia-Scozia quella punizione a pochi secondi dal fischio fosse girata, la statistica non avrebbe detto nulla di nuovo e il "cucchiaio di legno" dell’ultimo Sei Nazioni avrebbe salvato l’onore europeo. Ma il discorso di fondo non sarebbe cambiato, dettato dall’eliminazione dell’Inghilterra, dalla mortificazione della Francia con la Nuova Zelanda e dall’annichilimento per lunghi periodi degli Irlandesi contro gli Argentini. In pratica, nei mesi e anni scorsi, mentre l’Europa disputava sui “partecipanti del Sei Nazioni” il rugby mondiale stava cambiando di passo e nessuno se ne è accorto.

E così, in questi mondiali, è stato evidente che ritmo, contatto, intensità e velocità hanno ormai subito una svolta epocale. Dall’emisfero sud è arrivato il Rugby nuova maniera, prendendola bene, da Play Station, sintesi di uno sport che ha tutto per affascinare le masse del nuovo millennio: identità, fisicità, spettacolarità. L’Europa, invece, ha continuato ad arroccarsi sui vecchi modelli fisici e tecnici, come nulla dovesse cambiare, e il presidiare fosse importante quanto il correre e sorprendere.  

Un passaggio di scuole tecniche? E’ presto per dirlo, anche perché un mondiale è fenomeno temporale ristretto, e non è detto che esprima limiti momentanei. Lo si è visto con il calcio, in cui l’Europa, campioni mondiali a parte, è stata travolta dalla fisicità e dalla reattività delle sudamericane ma lo stesso l’Inghilterra ha messo in tavola dati che vanno assimilati in fretta, perché il nuovo rugby deve nascere dalle fondamenta, cioè dai fondamentali, cioè dalle scuole tecniche che improntano le giovanili. Se fossimo un paese intelligente questo, per l’Italia potrebbe essere un vantaggio. Prendiamo la pallavolo, che negli anni novanta è cresciuta attraverso un'interpretazione tecnica innovativa che ha portato l’Italia da Cenerentola sia a livello giovanile che senior, a motore mondiale.

L’Italia del rugby politicamente e tecnicamente dovrà cambiare, speriamo che certi segnali vengano colti. Per quel che riguarda l’Europa intera, il problema potrebbe essere piccolo o grande, dipende da come le strutture potranno abituarsi a pensare il nuovo.

La Scozia ha dimostrato che il divario potrebbe anche essere riempito velocemente attraverso umiltà e la fantasia, doti che in Europa potrebbero essere innovative. Si vedrà.

Per adesso, il segnale del mondiale è che il rugby sta crescendo di potenzialità e spettacolarità mediatica a sud, ma  a nord qualche problema c’è. Bisogna “cambiare passo” per risolverlo, metaforicamente, e non solo.