Maledetto Mont Ventoux
Lo hanno già indicato come il monte simbolo del tour 2016. Non è per retorica. Lassù con il caldo funzionano regole diverse dal ciclismo normale.
Froome ha dato appuntamento lì. Vedremo se ci sarà veramente. Chissà se amerà confrontarsi con un altro inglese, che nel 1967...

Per cogliere il caldo del 13 luglio 1967 bisogna metterci la Provenza, ovvero il mezzogiorno francese, apparentemente indolente ma nella carne spietato. E poi, per cogliere il senso dell’arsura di allora bisogna immaginarsi su una cima polverosa e pietrosa: il Ventoux. Da esso, il mare non appare lontano ma lo stesso è sensazione che non rinfresca perché leggi scogli che cuciono una vegetazione troppo bassa per essere ombra. E poi, più in là, bisogna respirare i miasmi di luglio e della macchia umana di Marsiglia e il suo alito pesante da città portuale. Il caldo, tutto quel caldo, è quello che solo il “Mont” può darti. Una strada secca che incide un paesaggio lunare di terra e pietra. Un asfalto feroce, che sale implacabile e non molla mai le gambe, amplificando ogni respiro. Il Mont Ventoux è sempre stato paesaggio aspro. Reso umano prima dal Petrarca (che si dice lo scalò per primo ma fu solo il primo dei non anonimi) e poi dal ciclismo. Nella storia, lo scoglio di 1910 metri chiamato Ventoux non fu mai crudele come il 13 luglio 1967, il giorno che a tutti descrisse un’arsura non solo di gradi centigradi
Fine anni sessanta. A dire quanto fosse insensato, pittoresco ed idiota certo sport di allora (ma adesso è meglio?) si può raccontare che quella mattina l’organizzazione provvide a distribuire larghe foglie da mettere sotto i cappellini dei ciclisti perché scalando il Ventoux potessero stare più freschi. Insomma, quel giorno la stessa organizzazione fingeva di ignorare che erano di moda ben altri rimedi, in particolare le anfetamine, prodotto di importazione italiana che aiutava gli atleti a non sentirsi uomini, cioè a non registrare sofferenza e fatica. E ancora, a testimoniare quanto fosse spesso insensato, pittoresco ed idiota lo sport di allora (ma anche qui, adesso è meglio?) si può dire che c’erano regolamenti di corsa che impedivano ai tecnici di passare borracce e liquidi in uno sport in cui idratarsi è indispensabile e costringeva i corridori a ricorrere ai bar, cosa che il 13 luglio 1967 fece anche la BP di Simpson, con un oste gentile che passò come optional una bella bottiglia di cognac che i corridori in biancoenero (capitano compreso) trangugiarono poco prima di affrontare il Mont. Le immagini che ci restano di quella ascesa del 1967 stampano un inglese in maglia BP stravolto. Un ciclista inebetito, che spinge i pedali senza sapere di spingerli e traballa senza accorgersi di traballare: il perfetto lavoro delle anfetamine: fare andare avanti un uomo ad ogni costo senza dargli la percezione di un limite. In pratica, condannare un uomo al ciclismo cioè a pedalare sempre, senza fermarsi mai
“Ho offerto a Simpson una borraccia d’acqua, lui
però guardava avanti e sembrava non capire niente di quello che gli succedeva
attorno. Barcollava, ansimava, ma intanto continuava a tentare di superarmi.
Gli ho detto stai tranquillo. Fermati. Non andare avanti. Ma lui pedalava,
pedalava…”. Queste sono le parole di Aimard, il vincitore del Tour 1966, a
ricordo del “the end” dell’ultima tappa dell’ultimo tour corsi da Tony Simpson:
la sua lunga pedalata a zig zag e poi gli ultimi metri sorretto da due uomini
del seguito. Loro gli chiedevano di fermarsi, lui invece mormorava che voleva
andare avanti.. Le immagini della tappa si chiudono con un uomo sulle pietre del
Ventoux a morire di chimica. Trovarono tre tubetti di anfetamine nella maglia
di Simpson. I fatti di quel 13 luglio 1967 furono i presupposti di un ciclismo
pronto a smettere di creare “storie”. Un sistema portato a non mostrare
variabili o debolezze. Un meccanismo che doveva comprendere solo una parola:
vincere. Stava crescendo la televisione, cioè il bisogno di vedere al posto di
ascoltare. Di registrare al posto di immaginare. Nel 2016 il Ventoux torna al Tour dentro un'altro ciclismo. Si porterà però dietro la sua memoria, anche quella dolorosa, con cui tutti, volenti o nolenti, devono confrontarsi.