I Moratti lasciano l’Inter? Impossibile
Può esistere un Inter senza i Moratti? Basta ricordare la storia di Angelo. Senza il suo nome non esisterebbe un concetto di Inter, come senza Inter non esisterebbe un concetto di Milano. Un conto sono le quote azionarie, un’altro la storia.

C’era il caldo del ferragosto, ma lo stesso, il 14 agosto 1981 in quella piazza si riunì una folla enorme, perchè non si stava congedando solo un petroliere, ma anche un’epoca. L’“Angiulin Moratti”. Non un miliardario ma un milanese. Un “braù omm” che quel giorno per l’ultima volta, passeggiava tra gente che gli aveva voluto bene.
Già, i Moratti si volevano bene, e volevano bene, a Milano e ai milanesi, prima di tutto. Basti raccontare di Erminia che girava con una borsa piena di sterline d’oro e le distribuiva a chi le pareva ne avesse bisogno. Una beneficenza silenziosa, casuale, senza fanfare mediatiche e senza telecamere al seguito. “Grazie per la bella chiacchierata, gentile signore” allungando una sterlina verso Montale, premio Nobel assai stupito. La storia di Moratti è stata quella di un ex rappresentante di olii minerali che ebbe l’intuizione geniale di un qualcosa che solo dopo sembrò scontata: le macchine degli Agnelli senza benzina stavano ferme. “Erminia, questo è il nostro primo milione” così Moratti, mentre in un giorno di metà anni trenta mostrava alla moglie la somma di banconote che rappresentavano un traguardo. Poi, da quel giorno, Moratti smise di contare i soldi che per lui divennero un mezzo, non un fine. “Era un uomo di intelligenza e di correttezza: non a caso in Italia è l'unico petroliere morto senza aver ricevuto una comunicazione giudiziaria" disse Peppino Prisco, descrivendo uno stile che la folla milanese omaggiò.
Ma Angelo Moratti, oggi, è nella memoria essenzialmente come presidente della “grande Inter”. E proprio l’Inter può aiutare a capire lo stile dell’uomo che seppe scrivere una sceneggiatura morale e imprenditoriale di successo. “Il calcio serve ad un industriale perchè gli può insegnare molte cose” disse, davanti alle iniziali delusioni. Sì, perchè i primi mediocri campionati, i rapporti difficili con i tecnici di un calcio ancora provinciale gli insegnarono di quale sostanza fosse fatta la sconfitta, a cui non era abituato. Era arrivato alla società nerazzurra nel 1955, raccogliendo un pezzo storico di un calcio italiano ancora invischiato nel fango di Superga. Comprare l’Internazionale era stato gesto d’amore e di gioventù. Era stata sua moglie, da sempre tifosa dei nerazzurri, a portarlo ad una partita dell’Ambrosiana di Meazza. Da quel giorno quei colori furono anche i suoi. Dell’Inter Angelo Moratti ne fece un bene di famiglia ma una famiglia allargata, che comprendeva Milano, e i milanesi. Scrisse Gianni Brera: «Il clan dei Moratti è qualcosa di molto simile a certe comunità dei film di Frank Capra. Si vogliono tutti bene e incattiviscono solo per l’Inter, il loro hobby dannato». Negli anni sessanta i Moratti furono l’Inter.come paradigma. L’Inter come stile. L’Inter simbolo di Milano assieme all’altro verso, il Milan, per un decennio padroni del calcio europeo. Una immagine di quella che avrebbe potuto (e dovuto) essere Milano se si fosse partiti innanzitutto da quello stile. “Si andava a San Siro come alla prima della Scala”, ricordò Lady Moratti, “si guardava chi c’era, e chi no”.
L’Inter di Moratti e Helenio Herrera, l’allenatore magnifico convinto di usare il presidente senza accorgersi che sotto sotto, ne era usato. Blandito, ecco quello è il termine. Blandito. Come nell’eterna dialettica attorno a Corso (che il presidente aveva preso da ragazzino). L’unico calciatore che regolarmente trovava il coraggio di irridere la severità dell’allenatore:“tasi mona!”
Ad ogni fine stagione, la mezz’ala era il primo dei cedibili nella lista di Herrera ma ad ogni rientro l’allenatore se lo ritrovava accanto. Piaceva troppo, Mario Corso ad Angelo Moratti. Il suo sinistro era la poetica e lo stile del presidente. L’essere diverso per sostanza, non per apparenza. Questo era il modo di Moratti. Una eleganza esistenziale già stinta dentro la piazza anni ottanta che per l’ultima volta lo celebrò. Poi i vestiti di quel tempo rimasero nella naftalina. Venne altra eleganza, altra sostanza: la Milano da bere. Venne un altro vincere: quello televisivo. Vennero gli applausi finti, come le risate. Venne la storia di oggi. Altra roba rispetto la generazione degli Angelo Moratti. Tutto lì.
Antonio Pastorelli :
Sono convinto che non lasceranno mai l Inter | giovedì 22 ottobre 2015 12:00 Rispondi