Gigi Meroni, il calcio caduto.
Gigi Meroni aveva tutto per scrivere la storia non solo del calcio ma anche della società italiana. L’appartenenza ad una storia profonda come quella granata, un talento enorme e una sintonia perfetta coi moti nuovi della società. Finì tutto in una sera balorda, si era alle soglie del ’68…

Il nome che viene in mente per dire quello che era Gigi Meroni, scomparso 48 anni fa, è George Best.
Quella marca di fuoriclasse e geni che non solo sentono i venti
dell’epoca ma nel bene o nel male l’anticipano, la interpretano, la scrivono.
Artisti unici, di quando il calcio ancora era un’arte e non un flipper da Play Station impazzita. Era nato a Como, Gigi
Meroni. Un talento subito straordinario, cristallino, geniale buttato su un
campo di calcio. A 21 anni era diventato granata, l’unica società con il
coraggio di investire da uno che si presentava come fuori schema, in un calcio
che era ancora tradizione. Meroni come Best. Sul campo, scrivevano l’impossibile
come fosse una traiettoria semplice. Fuori, vivevano, interpretavano e “erano”
i respiri nuovi di una società che stava profondamente mutando. Di lui passa la
stravaganza della gallina al guinzaglio ma in realtà era di più, perché tendeva
già nel 1967 a essere e fare lo stile che tempo dopo sarebbe stata la moda
ufficiale. Certo, uno così, capelli lughi, vestiti “strani”, uno che dipingeva,
scriveva e amava correre su macchine esagerate poteva anche dare fastidio al
calcio ufficiale che nel costume era ancora anni cinquanta, un po’ bigotto,
conservatore, di quello che andava a letto presto, almeno formalmente. Solo che
Meroni era entrato nel Torino, in una società che già per essere torinese e non
essere la Juve era antisistema per definizione. Meroni a 24 anni stava già cambiando la concezione del calcio,
aprendolo ai nuovi venti, tanto che pare che la Juve “educata e composta” lo
volesse, pensa te. Gorge Best,
dicevamo. L’inglese restò, si distrusse e si spense come gran parte dei
geni giovani di quella generazione. Meroni invece andò incontro ad un destino
assurdo, una sera di dopopartita fu investito dalla macchina impazzita di un
neo-patentato torinista, Romero, poi diventato presidente.
24 anni sono pochi ma bastano per diventare leggenda, anche se il calcio le sue leggende non le sa coltivare, raccontare, specie oggi, più impegnato alle eterne moviole che passano la partita dopo. Il calcio con Meroni avrebbe il modo di dimostrare che anche esso, e i suoi uomini, possono essere cultura d’avanguardia. Sì, raccontando Meroni il calcio potrebbe dimostrare di non essere solo soldi, chiacchiera e intrighi. Ma interessa veramente, a questo calcio?