E si è ricominciato a pedalare, a barare. E a sparlare.
Adesso, è conclamato, siamo al doping tecnologico. Però è proprio brutto amare un ciclismo così. Dove da una parte ci sono quelli che barano e dall’altra quelle che dicono che tutti barano, a prescindere.

D’improvviso, la tanto mitizzata bicicletta con il motorino, si è materializzata. Presa, fra tante altre, a Femke Van den Driessche, 19 anni, campionessa europea. Il motorino era nel tubo verticale. Gli esperti ritengono fosse un trucco antiquato, adesso siamo già alla furbizia di due generazioni dopo, a ruote mosse artificialmente dal magnetismo.
Con la prima pistola fumante, trovano senso concreto i sospetti sorti negli anni, i filmati inspiegabili di ruote che giravano da sole, o accelerazioni fantascientifiche.
Tutto troppo vero. Tutto troppo triste.
Ritornano anche i ragionamenti sui watt. Si pensava fosse il fisico il motore dopato, e invece forse, il trucco stava nella bicicletta.
Tutto pare semplice. Ma anche no. Perchè le biciclette datempo sono scannerizzate più volte, prima e dopo le corse.
E allora, così, resta solo il dubbio. Steso, sempre, su ogni campione, ogni vittoria, ogni scatto.
Tutto sembra finire nel sospetto. E la gente scuote la testa e dice: una volta il ciclismo mi piaceva, ma adesso, con quello che si sente in giro …
E la gente dice: sono tutti…
Già, sono tutti. No, non sono tutti. Ma vai a spiegarlo. Innanzitutto a quelli che barano, e a quelli che sparlano. Il problema è che il doping è sempre un passo avanti. Sia quello fisico, che quello tecnologico.
Magari un domani, nel futuro, il ciclismo sarà indicato come uno sport, una passione, uccisa dal progresso biologico e tecnologico, il rischio c’è, specie se si continua a barare, e a sparlare..