C’è il doping, l’antidoping e poi forse verrà il ciclismo

E così, è arrivata l’ennesima mazzata, questa volta figlia degli esami antidoping retroattivi.
Giampaolo Caruso è risultato positivo all’Epo su campioni del 2012 esplorati secondo le nuove metodologie scientifiche. I silenziosi del prima oggi tuonano: dati inequivocabili, un furbetto in meno… “Prima o poi, scientificamente, li prendiamo tutti” sembra dire il ciclismo ufficiale "e così saremo credibili". Già, però una domandina resta.

Una questione semplice semplice rimane, che però ha il problema di pretendere una risposta non spiegabile coi numeri, ma con i sentimenti dell’uomo e della sua storia. Fra analisi e controanalisi, nomi di corridori sbattuti in prima pagina e gesta di corse sempre più monotone in ultima, qualcuno si sta preoccupando della morte del ciclismo vero? Qualcuno si ricorda, oggi, delle gesta da ricordare dei primi due del Tour appena concluso? E poi, siamo sicuri che anche trasformare scientificamente, senza sostanze, corridori dotati in robot invincibili, non sia  una forma, scientificamente inarrestabile, di doping che “se non altera i risultati delle corse” corrompe e distrugge il cuore del ciclismo? Noi in italia lo abbiamo inventato lo sport scientifico. Abbiamo raccolto frutti, scritto la storia, salvo poi scoprire che dovevamo chiamarlo doping. Oggi, davvero il problema dell’assassinio in atto di uno sport vero, popolare, storico più di ogni altro è l’epo, sostanza quasi tramontata? Ma va.

Il problema è l’incapacità di capire che il ciclismo è sport popolare come nessun altro solo perchè è stato paradigma della vita. E la vita non è solo fatta di dati, non è bianco e nero, non è neanche scienza, è fatta anche di "forse" ma soprattutto della capacità umana e assurda di voler dare tutto fino a soffrire, lottare, perdere o vincere, ma farlo per un’emozione tua che arrivi agli altri, non per gli albi d’oro o i budget. O capiamo che solo tornare ad un ciclismo vivo, che parta dalla memoria della sua storia e degli uomini che l’hanno scritta emozionando e magari anche sacrificandosi per una lotta ad un sistema che ritenevano ingiusto, o capiamo questo, oppure vedremo il ciclismo, lo sport che ci hanno raccontato i nostri nonni, morire.

Perché alla fine, il problema della morte del ciclismo (ma anche di tutti gli altri sport) è uno solo. non riuscire a raccontare, o ricordare, come facevano i nostri nonni con le corse di Bartali, Coppi, le vittorie di Froome. Almeno, io non riesco. E’ un mio limite, ma le mie storie si fermano al ciclismo di un certo Marco Pantani, uno che le analisi retroattive sul tour del 1998 hanno inchiodato. Così dicono i numeri, almeno, anche se il cuore...
Però, però c'è una speranza. Che viene dall'Italia e dalla Francia (non dal Tour, che è una multinazionale) le nazioni che il grande ciclismo l'hanno scritto.
Le lotte,  i crolli, le sconfitte ma anche le vittorie dei Nibali, dei Pinot e degli altri giovani transalpini nel luglio appena passato, qualcosa hanno lasciato.
Adesso viene la Vuelta. Dai. Non tutto è perduto. Ne parleremo!

2 commenti

Enzo :
La formula chimica che chiude il testo È una riprova della SCIENZA...!!! | mercoledì 19 agosto 2015 12:00 Rispondi
mario :
Sì, come la foto in apertura, con quella strada di 36 tornanti, sono una riprova dell'esistenza della leggenda del ciclismo! | mercoledì 19 agosto 2015 12:00 Rispondi