A Richmond Sagan è mondiale, il ciclismo un po' meno
Peter Sagan finalmente si conferma fuoriclasse invincibile uccidendo l’unica tratto di corsa vera del Mondiale: gli ultimi 5 chilometri. Il resto della principale corsa in linea dell'anno è stata noia e un’Italia invisibile.

Se lo scopo dell’Uci e del Mondiale era quello di far
pubblicità alla passione per il ciclismo nel nuovo continente, Richmond è riuscita nell'esatto
contrario, mostrando uno sport noioso con otto ore a gruppo compatto (tranne
fughe di rito) e un po' di agonismo solo negli ultimi otto minuti. Si può immaginare quanto
questo nell’America in cui lo sport se non è veloce e combattuto viene tagliato
dalle tv, quanto possa far bene.
Politica a parte, tecnicamente l’unica cosa buona è
stata la meravigliosa vittoria di Peter Sagan, una perla tecnica fatta da un
attacco irresistibile (che visto come è veloce poteva non permettersi) e una
superiorità disarmante con un arrivo da personaggio scanzonato e irriverente,
anche un po’ romantico, da "divo" di cui il ciclismo ha bisogno. Dietro di lui Matthews e Navardauskas, un
altro arrivo da ciclismo globalizzato dopo il podio storico dell’under 23.
Il ciclismo “storico” a Richmond ha fatto quello che ha potuto, con un pavè tarocco in cui Gilbert non ha potuto fare la differenza di essere belga e un arrivo troppo piatto in cui Valverde (ancora lui) non è andato al di là del quinto. E l’Italia? Avremo modo di parlarne. Comunque, non pervenuta. Il diciottesimo di Nizzolo, primo degli azzurri, mette tanta malinconia. Un po’ il percorso, un po’ il crollo di quelli che potevano essere capitani per un giorno ma non hanno retto al peso della responsabilità. Ma ne parleremo meglio presto.