Un leone italiano al Fiandre
Sorpresone a parte, il Fiandre anche quest’anno non parlerà la nostra lingua. Ci fu però un periodo glorioso in cui Fiorenzo Magni, semplice vittima della storia tragica di quegli anni, fece della "Ronde" la sua corsa, rendendola rivincita umana dopo tanti attacchi ingiusti. (Foto di Fabrizio Delmati)


Eccolo, il Fiandre, così simile ad un
cardiogramma impazzito, in una terra di viottoli inospitali ma con il cuore
intessuto di ciclismo.
Una terra che è la storia del ciclismo, anche italiano.
Se parli del Fiandre, e ricordi il Fiandre, e ci aggiungi la parola Italia, non
puoi non parlare di Fiorenzo Magni, che vinse la Ronde dal 1949 al 1951. Anni di
ricostruzione.
Ricostruzione di un continente e di tante nazioni, fra cui l’Italia, dilaniata da una guerra fratricida che ancora non aveva rimarginato le sue ferite.
In quella storia tragica, Magni Magni era rimasto invischiato, lui che faceva parte dell’esercito di Salò e che dopo la guerra fu chiamato a processo per rispondere della sua supposta partecipazione all’eccidio di Valbona.
Ne uscì assolto, Fiorenzo, probabilmente in quegli anni, come tanti
altri, c’era stato, e questa era la sua colpa.
A processo, Magni fu anche scagionato dall’amico Alfredo Martini, e da carte che dimostravano che a Monza aveva dato una mano alla Resistenza. Ma si sa, gli uomini spesso sono sommari nei giudizi, e il triennio 46 e 48 per lui furono un calvario, fra stop alle corse e poi contestazioni, fischi, attacchi ingiustificati.
Dalla Toscana, Fiorenzo si era ormai spostato a Monza, che
divenne la sua terra, e la risposta agli attacchi dal 1949 la diede spingendo sui pedali, in
Italia e specialmente là, nelle Fiandre, in una corsa che fece sua tre volte
consecutive, e da cui tornò con l’appellativo di leone.
In quelle pedalate
solitarie su strade inospitali e
polverose probabilmente Fiorenzo mise tutta la rabbia che covava dentro.
La prima vittoria (1949) fu quella di un uomo andato lassù solo, senza squadra, come probabilmente si sentiva ancora in Italia, a vincere in volata una corsa ardimentosa davanti ad un pubblico straripante che alla fine, dopo la sorpresa di vedere uno straniero, lo portò in trionfo come in Italia non accadeva.
Da quel giorno l’Italia però si riaccorse di lui in quanto uomo, uno che da solo, caparbio, aveva vinto (secondo straniero nella storia) contro la nazione belga coalizzata. Un uomo che oltre a vincere, poi si dimostrò per tutta la vita affidabile, onesto e carico di una passione unica per la bicicletta.
Le vittorie belghe del 1950 e 1951 avvennero per distacco, dimostrando
che quella corsa da minatori era ormai nell’anima di Fiorenzo, oltre che nelle
gambe.
Anima di Fiorenzo che visse, per decenni, nel Museo del Ghisallo, una creatura tenuta
in piedi dal ferreo amore, sacrificio e passione da uomo dal cuore grande, che si era rivelato
anche abile imprenditore.
Una bella storia, quella di Fiorenzo Magni, da
ricordare specie se le risposte del ciclismo azzurro, domenica, non saranno
quelle giuste e che tutti speriamo.
E una bella storia è sempre questo Fiandre, corsa meravigliosa di gente strabordante e passione, verità che solo il ciclismo può mettere assieme.