Liegi: cercando gli italiani

Era la corsa degli italiani, ora quella della speranza di vederne uno davanti: Nibali. era ed è una delle corse dimostrazione di quanto il ciclismo possa essere vivo, e finanziariamente utile. Basterebbe volerlo.

Dunque, riassumendo il giro della Classiche 2015… La Sanremo l’ha vinta d’autorità il tedesco Degenkolb, dimostrando di aver ormai passato abbondantemente l’etichetta di velocista per prendersi quella di campione completo, e poi, a seguire e  a dare un briciolo di illusoria speranza, dentro un clima e una corsa da tregenda,  Paolini è andato a cogliere la Gent-Wewelgen.
Marzo è finito così.  Con una accoppiata italo tedesca, ma ahime, uno giovane, uno sempreverde ma non una prospettiva, magari…
Viene aprile e il Fiandre se lo porta a casa Kristoff, riprendendosi dal mancato bis della Sanremo, la Roubaix ancora Degenkolb, la Amstel Kwiatkowski mentre la Freccia Vallone, con Valverde, si è dimostrata ancora.una volta questione spagnola. Analizzando la serie di risultati, in pratica, sembrerebbe che il 2015  sancisce l’affermazione di una nuova generazione di specialisti delle classiche, con la squadra dei Gilbert, Boonen e Cancellara che di sicuro non si arrende, ma un passo indietro lo fa. E poi, sembrerebbe spostarsi sempre più repentinamente la geografia del ciclismo, mentre pesano di meno belgi e  olandesi, sembra tornare un insieme d’acciaio la Germania e l’est del continente, a danno del… mediterraneo. A dir la verità qualche giovane i francesi l’han lasciato intravedere, e gli spagnoli han lottato, la tragedia è la nostra, che al di là della vittoria di un highlander, e del ritorno alla lotta del sempre enorme Nibali, ben poco d’altro abbiamo fatto al nord, e questo non solo perché qualche nostro prospetto (Oss ad esempio) è impiegato nel ruolo di gregario nelle multinazionali del pedale.
Già, sembra esserci poco, davvero poco, all’orizzonte del ciclismo italiano. Speriamo di sbagliare, ma se pensi alle classiche una per una, nessun nome ti fa dire: non ha corso male, se cresce ancora, chissà, un domani… Comunque il ciclismo va sempre avanti, e domenica abbiamo l’ultima chance di vedere il tricolore al “giusto posto del mondo” con tradizione storica positiva, perché la primavera delle classiche si chiuderà con la “decana”, la Liegi-Bastogne- Liegi. Una corsa dura, che parallelamente al Lombardia assomiglia ad una tappa da grande giro, con un susseguirsi di salite ben più spesse dei muri. Insomma, la “Doyenne” difficilmente mente.
Per di più, per noi, la tradizione storica è positiva, dicevamo, perché la Liegi (andata e ritorno passando per le Ardenne) è anche detta la classica degli italiani, dato che nell’ultimo trentennio si è dimostrata percorso in sintonia con i nostri corridori e i loro connotati tecnici. Primo, trent’anni fa, fu Silvano Contini (1982). Poi vivemmo il poker di Moreno Argentin (1985, 1986, 1987 e 1991) uno che se anche ci provava, la “decana” non riusciva proprio a perderla.

Dopo il campione mondiale veneto, si è passati ad una altro campione toscano, però non mondiale, perché il destino iridato è sembrato sempre avercela con lui: Michele Bartoli, due volte a successo sulle vie di Liegi (1997-1998). Un’altro toscano, lui sì mondiale, è venuto a prendere il testimone dalle mani dell’amico Michele, Bettini, (2000-2002), per finire poi con Rebellin (2004) e  Di Luca (2007).  Comunque, anche al di là delle vittorie, quella degli italiani è anche una presenza costante nel vivo della corsa, perché qui le salite (le cote) assomigliano alle nostre strade. Insomma non sono elementi da specialisti, da nati lì, come i muri o come il pavè.

Le strade che da Liegi vanno alle Ardenne hanno i profili delle prealpi e degli appennini, e con questa assonanza anche per l’edizione 2015 Liegi chiamerà a raccolta quasi tutta l’Italia del pedale che conta in una corsa messa lì da sempre a segnare il cambio di stagione. A dire insomma che la primavera si è portata via le classiche, e dopo sarà tempo da grandi Giri, con il primo, il nostro, ormai alle porte.  E se di giri si parla, veniamo al passato, presente e speriamo futuro del nostro pedale: Vincenzo Nibali. Lo “squalo dello stretto” ha la Liegi da sempre nel programma. perchè in nessuna altra corsa come alla Liegi può vincere, Vincenzo, come ha dimostrato nel 2012, quando è arrivato secondo, primo degli umani, raggiunto e superato da un treno che guarda caso, poi, è stato preso con la benzina chimica nel sacco. Ha rischiato di essere due volte carnefice di Vincenzo, Iglinsky, considerando che è uno di quelli che avrebbero potuto far togliere la licenza all’Astana, anche se il nodo vero di quella vicenda (che speriamo superata) è nella tragedia di un ciclismo italiano che non ha più i mezzi per tenersi in casa un fuoriclasse vero come Nibali. Una volta i Merckx venivano da noi, oggi i nostri vanno in un altro continente…

Comunque guardiamo la Decana cercando sempre, nel gruppo, la maglia azzurro Kazakistan  con le striscioline tricolori, sperando che oltre ad essere metafora del nostro ciclismo, riesca anche ad essere ancora una volta dimostrazione che in casa i campioni siamo ancora in grado di fabbricarli.
Buona Liegi, comunque, perché è una di quelle corse che dicono come ancora, il ciclismo, ha senso. Lo dicono i ciclisti ma non solo. Date un occhio alla colonna di folla sul percorso, e magari allo spalto di qualche stadio di una qualsiasi partita pomeridiana, e poi parliamone su cosa è di moda e cosa no, respirazione artificiale e finanziaria a parte.