Berlusconi e il calcio. Trent’anni di una rivoluzione
Si festeggia in questi giorni il trentennio dell'avvento del sistema Berlusconi sul calcio. Un arrivo al Milan che ha cambiato e innovato ciò che era, costruendo il nuovo. Che però, adesso, è gia vecchio.

La leggenda vuole che Silvio Berlusconi fosse
interista. Direbbe così un suo racconto dell’amore per il calcio dovuto al
padre che lo portava all’Arena da bambino, e lì ci giocava l’Inter.
E poi c’è
chi dice che le prime mosse per acquistare una squadra calcistica milanese fossero
rivolte ai nerazzurri, solo che questi non erano in vendita.
Comunque, anche così fosse, non importa. Questi trent’anni hanno forgiato una nuova identità rossonera che dipende solo da Berlusconi. Insomma, Berlusconi non solo è milanista, lui è il Milan.
Questa identità corrisponde perfettamente all’idea che
l’imprenditore milanese ebbe alla nascita del suo desiderio di entrare nel
calcio. Una squadra aggressiva e sostanziale nel comunicare se’ stessa, e per
fare questo servivano altre due basi: il gioco e i risultati.
Comunicazione, gioco risultati per fare una nuova identità commerciale in un calcio fino ad allora ancora vintage. Una identità profondamente pubblicitaria e televisiva. Tutto questo consentito da una base economica solida come non mai e anche da una mentalità vincente più imprenditoriale che sportiva.
Una squadra di marca Fininvest, insomma, che trovò il suo volto fattivo in Galliani e tecnico prima in Arrigo Sacchi, un imprenditore del calcio nuovo e poi nella positività esclusiva di allenatori come Capello e Ancellotti.
Un nuovo che fu rivoluzionario fin dall'inizio, con il primo gesto prepotente e coraggioso, ma soprattutto simbolico, che segnò
il passaggio dalla saggezza storica di Liedholm (cinque giornate del giovane Capello a parte) al coraggio tecnologico di Sacchi.
Un’impronta esplicita fu quella sostituzione, che per fortuna o merito, si rivelo dopo i primi tentennamenti, da subito vincente.
Se uniamo la capacità di vincere a quella finanziaria di comprare il meglio e a quella tecnica e politica di saperlo scegliere, si capisce la parabola vincente di un ventennio irripetibile, che ha reso il Milan una delle principali squadre mondiali.
Certo, poi è venuto il declino, parallelo a quello di una Nazione calcistica, comunque.
In fondo il "berlusconianesimo" è già materia della storia
sportiva. Adesso è venuta un’altra epoca, che vede Milano ai margini del
futuro, non solo mondiale ma anche italiano.
Cambierà? E’ un discorso che, al di là di proclami che ahimè, ormai sanno di vecchio, riguarda solo le nuove generazioni, quelle di casa Berlusconi comprese .