2014: il campionato più noioso del mondo
C'era una volta uno sport diverso. Magari lo stesso povero, magari anche a volte ucciso dalla stessa Juventus, ma anche quello delle domeniche sportive, in cui Beppe Viola davanti ad un Derby triste si poteva permettere il coraggio intellettuale di trascurare il presente e ritrasmettere il servizio di una stracittadina fantastica di dieci anni prima. A dire che è possibile un calcio che sappia dire, e scegliere.

Sì, ok, nel 2014 come campionato della noia ci sta bene anche la Bundesliga, i tedeschi, con 'sto Bayern che dall'inizio sta avanti di trenta lunghezze, ma comunque una volta eravamo noi il campionato più bello del mondo, mica loro. Prendi come simbolo qusta trentesima giornata, che virtualmente potrebbe contenere scontri diretti che potrebbero far buono un mese intero e invece oggi servono solo a dar malinconia. E' così, la malinconia di chiedersi a cosa serva un calcio che rende inutili partite come Roma-Milan, o Inter-Napoli.
Quale dignità può avere un'industria come quella del pallone che, persi i valori agonistici per una classifica sempre più banale e standard, basa da mesi il suo interesse sulle Wanda Nara, le Ballotellate o l'eterno gioco del mercato che verrà (e il novantanove per cento non sarà, perché mancano i soldi, a tutti).
Beh, sapete cosa? Per presentare la trentacinquesima giornata, ci ispiriamo al maestro (che sicuramente non ci avrebbe voluti come allievi)... e facciamo così.
Quale dignità può avere un'industria come quella del pallone che, persi i valori agonistici per una classifica sempre più banale e standard, basa da mesi il suo interesse sulle Wanda Nara, le Ballotellate o l'eterno gioco del mercato che verrà (e il novantanove per cento non sarà, perché mancano i soldi, a tutti).
Beh, sapete cosa? Per presentare la trentacinquesima giornata, ci ispiriamo al maestro (che sicuramente non ci avrebbe voluti come allievi)... e facciamo così.
1 MAGGIO 1988
NAPOLI MILAN 2-3 IL PRIMO TROFEO DI BERLUSCONI
Tabellini:
Quel pomeriggio napoletano fu corpo di una partita epocale, novanta minuti che si tirarono addosso un sacco di aggettivi ma anche insinuazioni, fra cui l’infamia che l’esito funesto per gli azzurri per un qualche interesse di scommesse, o camorra, fosse stato in un qualche modo comprato e “aggiustato”.
Tutto poteva essere (come tutto ancora può essere) perché eravamo (e siamo) in Italia.
Ma a rivedere oggi il senso di quel match, o a dirla in maniera più figa, storicizzandolo, alla fine il 2 a 3 fu un risultato tecnicamente plausibile. Al di là che nel calcio (e non solo in Italia) tutto può essere, in quel giorno si incontrarono le parabole di una squadra (quella rossonera) che stava crescendo e un’altra (azzurra) che era “cotta”, spiegazione plausibile del fatto che alle 17 la schedina non segnò ne’ un 1 ne’ un X, bensì un 2.
Il fine ultimo di quel risultato, fu che il Milan arrivò allo scudetto. Insomma, quella stagione non fu Napoli ma Milano. Non fu Ferlaino, ma Berlusconi. Non fu Maradona, ma Gullit. E non fu Careca ma, bensì, Pietro Paolo Virdis.
Sui giornali della mattina di quella festa dei lavoratori, il Napoli risultava ancora avanti in classifica, ma veniva da settimane di risultati negativi, i rossoneri al contrario erano arrivati a solo un punto dai partenopei grazie ad un passo demolitore progressivamente acquisito con la crescita di sintonia tra il nuovo spirito berlusconiano, la squadra basata sull’estro olandese e l’oggettività ideologica di Sacchi. Per salvarsi, agli azzurri, quel giorno un San Paolo pieno come solo il San Paolo sa essere, non bastò. Come non bastò il sole sopra il vesuvio, ne’ la perla dell’uno a uno di Maradona su punizione, un x acquisito prima dell’intervallo ma che non durò molto.
L’eroe per caso di quel campionato fu Pietro Paolo Virdis, silenzioso protagonista di un Milan che non fu quell’anno solo “orange olandese” ma anche sardo al suono dei suoi goal. Van Basten in quell’annata di debutto milanese aveva cominciato a fare a pugni con le caviglie, ma alle “reti” ci pensò Virdis. 11 goal, miglior marcatore dell’annata rossonera con il clou delle due “mete” napoletane. Di rapina la prima, avventandosi sulla palla vagante dopo una punizione deviata. Di consapevolezza il secondo goal, a protendersi di testa sul cross di Ruud Gullit, il fuoriclasse che per tutti quei novanta minuti partenopei sembrò prodotto di un calcio maggiore, bello ed irresistibile, una versione tecnologica della estetica artistica di Maradona.
Anche il terzo goal di Van Basten fu seme del giocatore con le treccine. E quella capigliatura divenne un brand utile anche per fare mercato di cappellini, uno dei frutti della imprenditoria applicata al calcio di Silvio Berlusconi.
Dopo, in quel primo maggio, a Milano, si fece l’alba dentro una piazza del Duomo straripante di rossonero. Tornarono a sventolare le bandiere di un Milan che finalmente aveva riimparato a vincere, seguendo d’impeto l’incalzante cadenza meneghina di Silvio Berlusconi.
Quella notte in piazza Duomo, segnò uno dei momenti più autentici e grandiosi dell’epopea del popolo rossonero. Un movimento sincero e spontaneo di gente milanista, che finalmente si sentì a posto con le grandi storie del passato.
Da quella sera del primo maggio il Milan cominciò la sua strada di club più titolato al mondo.
Il Napoli di Maradona (che dopo le polemiche derivanti dal repentino declino si sarebbe liberato di “senatori” come Bagni Garella etc etc… rei di aver contestato Bianchi in un freddo comunicato) si prese la rivincita due anni dopo, vestendo il secondo scudetto della sua esistenza. Ma al Milan la cosa non interessò granchè. Negli anni novanta i rossoneri avevano ben altro a cui pensare. Dagli spalti della sud, si era cominciato a dominare le curve dell’europa e del mondo. L’italietta, a quel tempo non interessava granchè al Berlusca e ai suoi sogni di espansione….
Tabellini:
Napoli: Garella, Bruscolotti (72? Carnevale), Ferrara, Francini, Bigliardi, Renica, Careca, De Napoli, Bagni (56? Giordano), Maradona, Romano.
Allenatore: Bianchi
Milan: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, Colombo, F. Galli, Baresi, Donadoni (46? Van Basten), Ancelotti, Virdis (82? Massaro), Gullit, Evani.
Allenatore: Sacchi
Segnature: 36? Virdis (M), 45? Maradona (N) 68? Virdis (M), 76? Van Basten (M), 78? Careca (N)La data è primo maggio millenovecentoottantotto. Il posto il San Paolo di Napoli. Le due cose messe assieme formano un giorno famoso, uno di quelli da… ti ricordi. O io c’ero.
Quel pomeriggio napoletano fu corpo di una partita epocale, novanta minuti che si tirarono addosso un sacco di aggettivi ma anche insinuazioni, fra cui l’infamia che l’esito funesto per gli azzurri per un qualche interesse di scommesse, o camorra, fosse stato in un qualche modo comprato e “aggiustato”.
Tutto poteva essere (come tutto ancora può essere) perché eravamo (e siamo) in Italia.
Ma a rivedere oggi il senso di quel match, o a dirla in maniera più figa, storicizzandolo, alla fine il 2 a 3 fu un risultato tecnicamente plausibile. Al di là che nel calcio (e non solo in Italia) tutto può essere, in quel giorno si incontrarono le parabole di una squadra (quella rossonera) che stava crescendo e un’altra (azzurra) che era “cotta”, spiegazione plausibile del fatto che alle 17 la schedina non segnò ne’ un 1 ne’ un X, bensì un 2.
Il fine ultimo di quel risultato, fu che il Milan arrivò allo scudetto. Insomma, quella stagione non fu Napoli ma Milano. Non fu Ferlaino, ma Berlusconi. Non fu Maradona, ma Gullit. E non fu Careca ma, bensì, Pietro Paolo Virdis.
Sui giornali della mattina di quella festa dei lavoratori, il Napoli risultava ancora avanti in classifica, ma veniva da settimane di risultati negativi, i rossoneri al contrario erano arrivati a solo un punto dai partenopei grazie ad un passo demolitore progressivamente acquisito con la crescita di sintonia tra il nuovo spirito berlusconiano, la squadra basata sull’estro olandese e l’oggettività ideologica di Sacchi. Per salvarsi, agli azzurri, quel giorno un San Paolo pieno come solo il San Paolo sa essere, non bastò. Come non bastò il sole sopra il vesuvio, ne’ la perla dell’uno a uno di Maradona su punizione, un x acquisito prima dell’intervallo ma che non durò molto.
L’eroe per caso di quel campionato fu Pietro Paolo Virdis, silenzioso protagonista di un Milan che non fu quell’anno solo “orange olandese” ma anche sardo al suono dei suoi goal. Van Basten in quell’annata di debutto milanese aveva cominciato a fare a pugni con le caviglie, ma alle “reti” ci pensò Virdis. 11 goal, miglior marcatore dell’annata rossonera con il clou delle due “mete” napoletane. Di rapina la prima, avventandosi sulla palla vagante dopo una punizione deviata. Di consapevolezza il secondo goal, a protendersi di testa sul cross di Ruud Gullit, il fuoriclasse che per tutti quei novanta minuti partenopei sembrò prodotto di un calcio maggiore, bello ed irresistibile, una versione tecnologica della estetica artistica di Maradona.
Anche il terzo goal di Van Basten fu seme del giocatore con le treccine. E quella capigliatura divenne un brand utile anche per fare mercato di cappellini, uno dei frutti della imprenditoria applicata al calcio di Silvio Berlusconi.
Dopo, in quel primo maggio, a Milano, si fece l’alba dentro una piazza del Duomo straripante di rossonero. Tornarono a sventolare le bandiere di un Milan che finalmente aveva riimparato a vincere, seguendo d’impeto l’incalzante cadenza meneghina di Silvio Berlusconi.
Quella notte in piazza Duomo, segnò uno dei momenti più autentici e grandiosi dell’epopea del popolo rossonero. Un movimento sincero e spontaneo di gente milanista, che finalmente si sentì a posto con le grandi storie del passato.
Da quella sera del primo maggio il Milan cominciò la sua strada di club più titolato al mondo.
Il Napoli di Maradona (che dopo le polemiche derivanti dal repentino declino si sarebbe liberato di “senatori” come Bagni Garella etc etc… rei di aver contestato Bianchi in un freddo comunicato) si prese la rivincita due anni dopo, vestendo il secondo scudetto della sua esistenza. Ma al Milan la cosa non interessò granchè. Negli anni novanta i rossoneri avevano ben altro a cui pensare. Dagli spalti della sud, si era cominciato a dominare le curve dell’europa e del mondo. L’italietta, a quel tempo non interessava granchè al Berlusca e ai suoi sogni di espansione….